L’affascinante storia
dell’Ordine religioso da cui proviene papa Francesco, dalle sue origini ai
primi decenni del Novecento. Un libro completo, che racconta accuratamente
tutti i momenti salienti, gli intendimenti e le pratiche della Compagnia di
Gesù. La forte personalità di Ignazio di
Loyola (al secolo Íñigo López) e la sua particolare biografia (fu combattente
prima che uomo di chiesa) rendono conto delle origini e dei capisaldi di questo
ordine. La vera innovazione gesuitica è stata la dottrina del libero arbitrio:
l’uomo è libero di scegliere il bene oppure il male e di perseguire l’uno a
differenza dell’altro. A tal proposito Loyola inventò un modo efficace per
indurre nel credente la percezione del più grosso deterrente al praticare il
male: insegnò ai suoi discepoli e a chi seguiva i suoi sermoni ad auto indurre
a tutti i propri sensi l’esperienza delle fiamme perpetue dell’inferno. I
famosi Esercizi furono una delle invenzioni più potenti dell’Ordine e segnarono
il confine netto con la pratica esclusiva della meditazione. Per la prima volta
si affacciava tra le opzioni degli uomini di chiesa un cristianesimo attivo,
efficace, che permettesse tramite la volontà e l’esercizio di avvicinarsi a
Dio. Le dispute non si fecero attendere, l’antica credenza che Dio disponesse
tutto e che vigesse un determinismo fatalista per le azioni umane era
fortemente radicata negli scritti e nei detti dei teologi e degli
ecclesiastici. Domenicani e Gesuiti si scontrarono su questo.
Fülöp-Miller si inoltra
nelle dispute filosofiche sulla dottrina del libero arbitrio confrontando le
teoresi di Cartesio, Diderot, Voltaire, Kant, Pascal, Leinbniz e altri
importanti filosofi.
Curioso pensare che
molti di questi avevano studiato nei collegi della Sopcietà dei Gesuiti.
La Compagnia aveva nel
proprio stesso atto di fondazione (il voto di Montmartre del 1534) una spinta
all’attivismo che in seguito la portò a realizzare scuole, missioni e ospedali.
Loyola e sodali non realizzarono mai la crociata che si erano preposti, tuttavia
lo sviluppo dell’alternativa a questo proposito belligerante era di mettersi a
disposizione del papa. La propensione all’aiuto del prossimo, la stretta
gerarchizzazione, l’annullamento nella devozione ai superiori e a Dio (figure a
loro detta correlate) portò i gesuiti
prima ad occuparsi della carità, dei malati e dei sofferenti, poi
dell’educazione – avendo presto capito che uno dei principali mezzi di potere
era l’appannaggio del sapere – e in seguito
alla conversione dei popoli. I padri missionari, che adottavano la
tattica di ingraziarsi i sovrani per creare il terreno fertile per eventuali
conversioni massive nella popolazione, ebbero a che fare già nel XVI con il
Gran Mogul Akbar, con gli imperatori della Cina e del Giappone e in seguito con
i popoli Messicani e sudamericani in generale. Se questo sforzo non fece da
subito appassionare alla religione cristiana i sovrani di quei paesi,
l’aneddotica sui tentativi fa ben comprendere come fossero caparbi gli
affabulatori della compagnia. Ma la potenza dei gesuiti (ottenuta con lo sforzo
“militante” e la presenza in punti cardine della società) nel Settecento causò
loro dei grossi problemi con il papa stesso e l’epoca di Maria Teresa d’Austria
(che invece era l’unica loro sostenitrice) non fu semplice per l’Ordine. Né lo
fu professare nell’Inghilterra anglicana, in cui erano considerati fuorilegge. Se
questo non vuol essere “un testo scientifico”, come dichiara l’autore nella
prefazione, è riuscito negli anni ad essere un testo di riferimento, più volte
ristampato. Indispensabile per capire perché oggi il “papa nero” e il “papa
bianco” coincidano.
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