“Sii musica per loro, inventa
strumenti ancora nuovi. Insegna loro ad amare ciò che si muove rapido sotto il
sole” (Giuseppe Conte).
La citazione lirica che compare
nella pagina conclusiva di questa testimonianza scaturita direttamente
dall’interno della scuola è per molti aspetti ancora più struggente della dura
requisitoria sviluppata nel saggio. La severità dello sguardo di Antonacci
deriva con tutta evidenza dal profondo amore per la professione e per i giovani
che ne costituiscono la missione, in nome della quale non è consentita
indulgenza alcuna di fronte a quanto ha corrotto e corrompe la nobile arte di
educare/insegnare. E se, per onestà, va detto che la scuola non è né può essere
un’isola felice rispetto ad una società che si è progressivamente impoverita di
valori, l’indagine non rinuncia a denunciare tanto le lacune di sistema quanto
i limiti culturali ed umani, le vigliaccherie, le piccole “guerre tra poveri” e
gli opportunismi che inquinano il clima scolastico; ma anche le nuove battaglie
che l’insegnante è chiamato a combattere ad armi non certo pari: quelle contro
bullismo e teppismo, e soprattutto quelle contro lo spaventoso vuoto di
motivazione e di speranza che contrassegna le nuove generazioni studentesche,
spesso non adeguatamente sorrette e guidate da un tessuto adulto che si
dimostra altrettanto fragile e disorientato, incapace di pronunciare quei “no”
che fanno crescere.
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