Non è mai tardi per
riappropriarsi del patrimonio storico culturale di un territorio, e le
opportunità offerte dagli anniversari quando si prestano a più approfondite
riflessioni o a rivisitazioni di fatti e personaggi condotte con taglio
scientifico, vanno sempre colte a pieno nel comune intento di portare alla
ribalta, illuminare di giusta luce, rendere di pubblico dominio importanti
documentazioni parzialmente note o del tutto inedite. Su queste basi diventa
più agevole riproporre i protagonisti di
una stagione, il Risorgimento, che fu vissuta intensamente anche nel Salento,
sebbene di loro si parli poco ed i loro nomi risultino familiari ad un limitato numero di studiosi.
Il Mignogna che conoscevamo era
la figura forte di uno dei Mille, che
aveva avuto corrispondenza con Mazzini e si era accompagnato a
Garibaldi, fino ad assumere la prodittatura in Basilicata, partendo dalle
barricate del 1848, dal duro carcere borbonico, dagli entusiasmi del 1860. Si
trattava sostanzialmente di un ricalco agiografico, dell’utilizzo di un cliché
comune ad altri patrioti che onorano l’Italia. Mi riferisco al libro di
Giuseppe Pupino Carbonelli datato 1889, edito per i gloriosi tipi del Morano di
Napoli: un’operazione certamente in buona fede, condotta con sentimento, ma non
molto di più, non molto oltre il dovere civile di ripercorrere il travagliato
percorso umano, per consegnarlo ai posteri, che aveva trasformato il Nostro da
tarentino in italiano. Leggerebbero più oggi, i giovani, un libro come quello,
traboccante di retorica ed impostato all’antica? E si avvicinerebbe uno storico
in cerca di testimonianze concrete ad un testo così?
Eppure sono molti i bagliori che
sortiscono dalla sua biografia, a tutt’oggi solo parzialmente acquisita: dalla
partecipazione attiva alle sette dei “Figliuoli della Giovane Italia” e
dell’“Unità d’Italia” al crescente rifiuto della dinastia borbonica che
nascondeva con la maschera del paternalismo un governo assolutistico negando
con incosciente superficialità la dilagante miseria del popolo; dal costante
anelito alla Costituzione che fiorito nel 1820, si era rinforzato, attraverso
gli infausti esiti del ’48, fino a sfociare nel progetto verosimilmente di De
Lieto da presentare a Luciano Murat, al suo avvicinamento appunto al
murattismo, ben più radicato di quanto si possa credere; dal processo del ’56,
il “Mignogna case” come lo definivano i giornali londinesi, che fece per la
prima volta del presunto colpevole un eroe popolare, alla fervente attività di
cospiratore, secondo l’opinione di Francesco De Sanctis che lo preferiva al
teorico, all’idealista; dall’intesa con Pisacane, alla convergenza su
Garibaldi. Uno sterminato campo di indagine e di ricerca, nel quale non è
facile muoversi e districarsi.
Nasce allora proprio
dall’esigenza di attualizzare una personalità complessa come quella di Nicola
Mignogna il lavoro di Valerio Lisi, che scava a fondo con metodo ed esperienza, che presenta i fatti
con estrema obiettività, che fa emergere la complessità della storia in un
momento cruciale come il Risorgimento. Non si tratta, e non potrebbe essere
altrimenti, di una nuova biografia del tarentino, come non lo fu, per le
ragioni che ho esposto, quella di Pupino Carbonelli, ma di un corposo
contributo ad un futuro definitivo bilancio. Ci sono i documenti, e non mancano
gli elementi utili ad una attendibile successione cronologica: e c’è, in
aggiunta, l’onestà dello storico vero, che non si sbilancia in mancanza di
prove. Mi fa pensare, questa riflessione, alla ormai vecchia questione
crociana, se, quando, e in che termini, la biografia possa ambire a diventare
storia: non è facile dare una risposta, ma un libro come questo di Lisi sembra
conciliare armoniosamente i due generi. L’elenco delle fonti d’archivio basta a
dare un’idea della serietà dell’impegno: dal Museo del Risorgimento di Roma al
Museo San Martino di Napoli, dall’Archivio di Stato di Napoli a quelli di
Torino e di Genova, e all’estero Parigi e Vienna. Quasi tutti i carteggi sono
inediti e presentano un formidabile apparato documentario al testo, sempre
asciutto ed essenziale: come pretende il lettore dei nostri tempi, attento più
ai fatti che alle ipotesi. Le note costituiscono quasi un argomento a sé
stante, numerose ed illuminanti come si presentano: una sorta di contraltare,
se così si può dire, alla struttura del libro di Pupino Carbonelli e senza
alcun intento polemico con l’illustre precedente, che è ormai da tutti
considerato un classico.
Uno studio dunque sostanzioso e
innovativo, che mette in campo materiali alternativi e farà scaturire ulteriori
discussioni. Per esempio l’allargamento dell’indagine a figure apparentemente
secondarie che con il Nostro ebbero a che fare, di cui qui non si poteva che
fornire qualche informazione di massima, o l’individuazione del preciso ruolo
da lui svolto all’interno dell’attività tipografica clandestina che faceva da supporto
alla diffusione ed alla penetrazione nel Regno di Napoli delle idee
“sovversive”. Il libro ci aiuta a sciogliere, poi, qualcuno dei nodi che
caratterizzano il fenomeno del settarismo preunitario, e ci porta almeno a intravedere il legame sottostante
che unisce eventi apparentemente slegati fra loro: certamente nei piani del
Mignogna doveva esservi una logica ferrea, che non è facile per noi
individuare, ma su cui abbiamo ora, finalmente, qualche elemento.
Insomma, e sia detto per
concludere, questo libro costituisce un piccolo monumento, ben rifinito e
sicuramente più duraturo, di quello che la città di Taranto, il “natìo loco”, non volle – o non poté in
circostanze storiche ben diverse – dedicargli per ricordarlo alle nuove
generazioni. Una sorta di risarcimento a fronte di quella pubblica
commemorazione che arrivò con 19 anni di ritardo nel 1889 e dei due mancati
appuntamenti in coincidenza con il centenario della morte (1970) e il
bicentenario della nascita (2008). Un doveroso riconoscimento, quello di
Valerio Lisi, cui tutti dobbiamo essere grati, nei confronti di un uomo integro
per coerenza e per amor di patria, che degnamente rappresenta il Salento nel
lungo e frastagliato processo unitario. Un uomo che operò a favore di quel
popolo «diviso per sette destini / in sette spezzato da sette confini», come
scriveva Berchet, puntando per la vita intera all’avveramento del sogno in cui
aveva creduto e per cui aveva combattuto. (Alessandro Laporta)
VALERIO LISI - Nato a Taranto
nel 1965 da genitori leccesi. Diplomato presso il liceo “Archita” di Taranto,
nel 1990 si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi
di Pavia. Vive e lavora a Taranto.
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