venerdì 3 luglio 2015

Le grandi battaglie dell'esercito romano di Livio Zerbini. Per i tipi di Odoya dal 12 luglio 2015



Livio Zerbini insegna Storia romana all’Università di Ferrara, dove dirige il Laboratorio di studi e ricerche sulle Antiche province Danubiane. Ha insegnato in diverse università europee, tra cui la Sorbona; attualmente è docente presso l’Università di Cluj-Napoca, in Romania. Dirige due missioni archeologiche, in Georgia e in Romania, che rientrano nel novero delle missioni archeologiche italiane all’estero del Ministero degli Affari Esteri Italiano. Ha al proprio attivo numerose pubblicazioni. Tra le più recenti: Storia romana. Dal 753 a.C. al 565 d.C. (Bruno Mondadori 2011); Pompei (UTET 2012), I Romani nella Terra del Vello d’Oro (Rubbettino 2012), Le guerre daciche (Il Mulino 2015), Roma. Un impero alle radici dell’Europa (UTET 2015). Per Odoya ha già pubblicato Storia dell’esercito romano (2014)

Roma non è stata certo costruita in un giorno: tante battaglie, sviluppatesi nell’arco di secoli, hanno reso possibile il consolidamento dell’Urbe all’interno del territorio italiano e consentito a quello che fu un piccolo villaggio di pescatori di diventare un Impero.  L’estrema elasticità di un esercito che non demordeva e anzi migliorava equipaggiamenti e tattiche battaglia dopo battaglia è forse una delle chiavi di volta per capire il successo delle armate romane. Che siano state vittoriose come la battaglia che cambiò il nome della città di Maleventum nell’attuale Benevento e consentì a Roma di conquistare definitivamente a discapito degli Epiroti, il sud Italia (275 a.C.) oppure delle sonore sconfitte come la disfatta di Teutoburgo in cui Varo perse le insegne affidategli da Augusto in persona (9 a.C.) e Roma temette un’invasione germanica, le battaglie che Zerbini ha scelto accuratamente rappresentano degli snodi nella storia dei nostri antenati. E se la stima reciproca tra Scipione L’Africano e Annibale (che morirono anche nello stesso anno e cioè nel 183 a.C.) costituisce parte di quegli aneddoti che rendono interessante anche per il neofita la storia romana, l’esperto potrà inoltrarsi alla scoperta del giavellotto che volle il console Gaio Mario all’epoca della battaglia dei Campi Raudii (101 a.C.): “Mario ordinò di sostituire uno dei due chiodi di ferro con un perno di legno, in modo che il giavellotto, una volta conficcatosi nello scudo del nemico, non rimanesse diritto ma si piegasse nella parte in ferro. Rimanendo inserito nello scudo non solo non poteva più essere riutilizzato, ma appesantiva a tal punto l’arma difensiva del guerriero cimbro da renderne impossibile l’uso.” Per i Teutoni si dimostrò, per usare un eufemismo, una vera seccatura! Nell’incedere delle pagine, gli evocativi scontri di fanti contro elefanti lasciano il posto al racconto di armi più moderne come la cheiroballistra e dai domestici scontri tra Latini e Romani (Battaglia del Lago Regillo 499 o 496 a.C.) si procede verso scenari ben più esotici come quello del capitolo dedicato all’assedio della ribelle città-fortezza zelota di Masada (73 d.C), che con il suo triste esito (gli assediati si suicidarono in massa) diede inizio alla diaspora ebraica. Interessantissimo poi l’esercizio di attribuire alle popolazioni sconfitte i nomi attuali: le battaglie contro i daci sarebbero oggi degli scontri geopoliticamente assurdi tra italiani e rumeni! Saranno i cosiddetti barbari a erodere il mastodontico impero, scavandolo dall’interno come fece Arminio (che aveva servito nelle fila dell’esercito romano per poi mettersi a capo dei ribelli germanici) al tempo della battaglia di Teutoburgo, segno che qualsiasi assetto politico che preveda un centro e un’immensa periferia, se non riesce a garantire la convenienza per gli assoggettati, prima o poi è destinato a perire.